Leggende nere
C’è qualcosa che ci affascina nel Male ed è il lato oscuro di noi stessi. Non siamo malvagi (almeno la maggior parte di noi) ma pensare a una persona che lo è ci sconvolge ed attira, come avvicinarsi ad un baratro e guardare giù, verso l’ immensa oscurità che si apre dinanzi a noi.
E’ così che nascono le favole e le leggende nere, come quella di Robin Hood, il simpatico bandito della foresta di Sherwood, il quale secondo le ballate inglesi del tardo Medioevo, rubava ai ricchi per dare ai poveri. Oppure quella di Barbablù, il demoniaco castellano delle favole dalla deprecabile abitudine di accoppare le proprie mogli troppo curiose. O ancora il brigante ottocentesco romagnolo Stefano Pelloni, detto il “Passator Cortese” protagonista come Robin Hood di ballate popolari e di una romantica poesia di Giovanni Pascoli.
La realtà è che Robin Hood, se mai è esistito, era solo un bandito di strada il quale, per i contadini inglesi ridotti alla fame, aveva il pregio di rapinare nobili e ricchi religiosi mentre Barbablù era in realtà Gilles de Rais uno spietato serial killer pedofilo francese del 1400, responsabile dello stupro e dell’assassinio di decine forse addirittura centinaia di bambini nel suo castello bretone. E il “Passatore” era niente di più di un volgare rapinatore che “cortese” lo era solo con le prostitute.
Ora le ballate e le favole sono state sostituite dai mass-media e da cattiva letteratura, che per vendere più copie o per fare più ascolti da uno spietato assassino creano un antieroe.
I primi assassini da mass media furono Bonnie Parker e Clyde Barrow, due assassini psicopatici che con la loro gang terrorizzarono il Sudovest degli Stati Uniti durante i primi anni ’30 uccidendo una dozzina di persone, tra cittadini e uomini delle Forze dell’Ordine. I cinegiornali ed i titoli dei giornali che a caratteri di scatola li definivano i banditi più pericolosi degli Stati Uniti scatenarono intorno a loro una vera e propria leggenda nera che venne ripresa negli anni successivi, anche da un film del 1967 (piuttosto dozzinale, a dir la verità) nella quale vennero visti come dei romantici fuorilegge in lotta contro una società corrotta, invece dei sanguinari assassini di massa che furono in realtà.
In Italia l’esaltazione dell’antieroe arrivò subito dopo la seconda Guerra Mondiale. Nei vent’anni precedenti la censura aveva cancellato la cronaca nera o l’aveva ridotta nelle ultime pagine dei quotidiani e alla fine del conflitto i cronisti si gettarono a capofitto nei racconti di delitti, omicidi e criminalità, narrando morbosamente compiaciuti le atroci imprese dei criminali dell’epoca, come i banditi Bezzi e Barbieri a Milano e Salvatore Giuliano in Sicilia, quest’ultimo trasformato quasi in un eroe popolare, invece del feroce assassino che fu realmente.
Sono passati sessant’anni ma da allora non è cambiato nulla.
L’Antieroe viene esaltato come se fosse o un genio del Male, capace di farci rabbrividire oppure come un solitario in guerra contro i Poteri forti ( Stato, Legge, Finanze etc). Su di lui vengono scritti libri e articoli e vengono girati film. A volte è lo stesso assassino a scrivere libri e la gente, assetata da morbosità, accorre ad acquistare le sue “fatiche” letterarie. Ed allora in questi capolavori di letteratura si possono leggere pagine grondanti di melensa autoesaltazione e autocommiserazione, tipici del balordo egocentrico. Fateci caso, se avete mai gettato uno sguardo su questi “capolavori” della letteratura. Sono tutti a base di nostalgia per il proprio passato (“passato”? ) criminale e rimpianto per i tempi andati. Quando il criminale parla delle proprie vittime, lo fa come se fossero morte per caso o per cause di forza maggiore. Non li vede come uomini, donne e bambini strappati alla vita, ma semplicemente come ostacoli sul proprio percorso e paradossalmente, allo stesso modo li vede il lettore o lo spettatore se (Dio non voglia!) la sua storia criminale viene portata sullo schermo.
Ma le Vittime sono Uomini, Donne e Bambini la cui vita è stata strappata prima del tempo, alle quali se (a volte) è stata resa Giustizia non è quasi mai stato concesso l’onore del ricordo, a meno che non sia quello delle persone amate o delle ricorrenze ufficiali. Sono vite che non devono essere dimenticate in favore dell’esaltazione delle gesta criminali delle Leggende Nere.
Sono tragedie personali e familiari di persone come noi, alle quali l’esistenza è stata tolta da individui che da tempo hanno rinunciato ad esserlo e che ricordano morbosamente il dolore da loro causato in libri e film, magari girati da registi compiacenti ed indulgenti.
E’ per questo che, nel nostro piccolo, abbiamo cercato di ridare un nome, un volto e una storia a coloro che non possedevano più nome, volto e storia, ed abbiamo avuto il conforto di avere ricevuto una risposta positiva dai familiari dei Caduti, anche di quelli che hanno dato la loro vita molti anni addietro. E’ un nostro piccolo contributo, una piccola pietra lanciata nel putrido stagno delle Leggende Nere.
Perdonateci la presunzione, ma non vi permetteremo di dimenticare.
(Fabrizio Gregorutti)
Gent.le Gregorutti, ho letto con piacere questo suo vecchio articolo (purtroppo nella giornata in cui un altro agente è deceduto) e mi trovo in sintonia su quanto da lei scritto. Troppo spesso si cerca di presentare in criminali per quello che non sono nella realtà mistificando i fatti o alterandoli completamente e questo, per la nostra storia patria, dall’800 ad oggi si è ripetuto spesso, dai briganti, ai terroristi e ai criminali comuni. Troppo spesso si dimenticano i nomi e i volti delle vittime e questo, insieme ad un giudizio errato, è la peggiore delle analisi che si possa fare. “Il male ha sempre lo stesso volto”. Un cordiale saluto