Gli eroi delle montagne
GLI EROI DELLE MONTAGNE
di Gianmarco Calore
C’è stato un periodo – non molto tempo fa – in cui uomini coraggiosi hanno combattuto una guerra in tempo di pace. Una guerra piccola, per ciò stesso silenziosa e di cui per molti si è preferito perdere il ricordo. Una guerra contro un nemico mortale, combattuta tra gli anfratti delle montagne, nei boschi di querce, lungo brulle spianate. Fu la guerra contro l’abigeato combattuta da un reparto della Polizia di cui parecchi ignorano la sua breve esistenza: i “Baschi Blu” del 2° Reparto Celere di Padova. E non siamo certo lontani da città e paesi moderni, oh no….. siamo nella splendida e affascinante Sardegna della fine degli anni ’60. Qui non ci sono i nazisti, che hanno lasciato il nostro Paese appena 20 anni prima; qui non ci sono nemici in divisa che vogliono invadere le nostre terre. C’è invece una ricchezza abbondante e mal ripartita: il bestiame. Mandrie e greggi che vengono sistematicamente rubate e rivendute, spesso con il “contorno” di morti e feriti tra famiglie nelle cui mura domestiche cova già il sentimento di vendetta: sangue chiama sangue…. E non si fanno sconti per nessuno: uomini, donne, perfino bambini e anziani accoppati a colpi di lupara. E’ qui che il 20 gennaio 1966 dalla motonave “Città di Napoli” sbarcano dal “continente” militari in divisa mimetica con jeep, autoblindo e i famosi “gipponi” OM-CL: una scritta su tutti: “2° CELERE”; un colore su tutti: il blu del basco portato da ciascun “forestiero”. La gente del luogo li osserva con sguardo imperscrutabile tipico di un popolo fiero: non un commento, non una domanda, tantomeno un “Benvenuti”, magari sussurrato sottovoce. Ma da subito tanto piombo, quello sì. E non iniziano a sparare appena sbarcati gli “invasori”, anzi…. li fanno sistemare nel loro fortino di Abbasanta, aspettano di vedere come si muovono, dove vanno, cosa fanno e – soprattutto – quanto ci metteranno a perdersi. Ururi, Agro di Sarule, Mamoiada, Osilo, Onifai, Ottana: posti dimenticati da Dio, non certo dai banditi che conoscono ogni anfratto e ogni pertugio di quelle lande. Vai sul sito www.baschiblu.it, vedi le foto scattate da questi ragazzi venuti da lontano e ti sembra che siano giovani di un campo-scuola, non militari di P.S.: eccoli seduti sotto un albero a mangiare un panino, l’immancabile bottiglia di “nero” in primo piano; eccoli ancora sopra un dirupo con la giubba della mimetica aperta: vuoi rinunciare alla tintarella? e ancora su un pianoro erboso a giocare con i pastori tedeschi, immancabili compagni di pattuglia. Le armi sembrano quasi un accessorio e una presenza stridente in un clima di giovialità e goliardia: i primi mitra M12, ancora con l’impugnatura in legno; carabine M14, qualche Garand e l’immancabile moschetto “91”. C’è chi da Padova si è addirittura portato giù la macchina, una stupenda Fiat 850 bianca: magari – chissà – mi trovo pure la morosa…..Molti di questi ragazzi hanno pochissimi anni di servizio, sono alla “Celere” di Padova da poco ma hanno già assorbito la fierezza e lo spirito di Corpo di un Reparto ammirato e temuto in tutta Italia. E il Ministero ha mandato loro in una missione fino ad allora unica e pericolosa: che bello!! Si sentono un po’ come i militari ritratti da Dino Buzzati nel suo romanzo “Il deserto dei Tartari”, tutti in attesa di trovare un nemico che sperano non ci sia. E le pattuglie continuano a ritmo serrato, con la meticolosità tipica di un vero Corpo d’elite: siamo i Baschi Blu, siamo la Polizia. Ma il nemico arriva. Non subito, non preannunciato: li ha fatti prima ambientare, ha fatto loro capire di andarsene con il silenzio degli indigeni.
La guardia di P.S. Michele Servodidio
Arriva una mattina del 24 febbraio 1967 nei pressi di Mamoiada e si porta via la guardia di P.S. Michele Servodidio, 22 anni, componente di una pattuglia impegnata in un rastrellamento. Arriva sotto forma di due pastori con tanto di pecore che vedono arrivare la pattuglia, si lasciano avvicinare: ma dal manto dell’agnello sbuca fuori un lupo che fa scempio dei giovani militari. Michele non ce la fa, i suoi compagni non credono ai loro occhi, si gettano a terra, rispondono al fuoco, riescono a ferire uno dei due lupi che pero scappa aiutato dagli altri del suo branco. “Roma Palermo 1, Quercia 2 siamo stati colpiti!!!…” La radio non prende, un militare si deve fare di corsa una sgambata di un’ora fino al paese più vicino per telefonare in caserma. La gita è finita, i ragazzi capiscono di essere in guerra. Ma nessuno molla: il motto del 2° Celere – primi a giungere, ultimi a cedere – viene rispettato alla lettera. A ranghi serrati le pattuglie continuano, si intensificano e danno ottimi risultati in termini di arresti, sequestri e repressione. Ci sono altre sparatorie, ma i ragazzi adesso si sono abituati: il nemico c’è ed è dappertutto, perfino nei paesi durante le processioni del santo patrono cui le Guardie partecipano in divisa ordinaria.
Ma non tutto si può prevedere.
Le guardie di P.S. Ciavola e Grassia
Agro di Sarule, pomeriggio del 17 giugno 1967. La pattuglia “Noce 1” sta correndo in ausilio di alcuni colleghi Carabinieri coinvolti in un conflitto a fuoco con alcuni ladri di bestiame. Le guardie Pietro Ciavola e Antonio Grassia, rispettivamente 25 e 22 anni, intercettano i banditi in fuga: raffiche di mitra, perfino una bomba a mano. E ancora morti: i due ragazzi vengono “falciati” da una raffica di Sten precisa, letale. E ancora lacrime, dolore, incredulità. Rabbia: il nemico scappa, si nasconde, fa perdere le proprie tracce in modo sorprendentemente rapido. E, naturalmente, nessuno parla…. Qualcuno perde la testa: deve intervenire il maggiore Campanella per mettere il guinzaglio ai suoi uomini. In Sardegna arrivano da Padova più di trecento colleghi, addirittura con i blindati e i mortai. Ma da quel momento il reparto svolgerà il suo compito di pattuglia solo nei pressi dei paesi: basta campagne, basta boschi e basta montagne. E soprattutto, basta morti. Passa qualche anno e lentamente i ragazzi fanno rientro in sede: non sono più i ragazzini da campo-scuola dell’inizio; sono uomini duri, carichi di odio verso un popolo che non li ha capiti e verso un “codice d’onore” che invece non riescono a capire loro. A casa li aspettano le piazze dei primi anni ’70: molotov al posto delle mitragliate, sampietrini al posto delle bombe a mano. Per molti, neanche il tempo di disfare la valigia: c’è Reggio Calabria messa a ferro e fuoco da frange di popolazione impazzita. Si parte con l’ennesimo convoglio ferroviario non sapendo che anche qui un “celerino” ci lascerà la pelle…..Per molti, la Sardegna di quegli anni è stato il Vietnam del 2° Celere: l’ultima “campagnola” abbandona l’isola in un tetro pomeriggio del 14 ottobre 1970. Per i nostri ragazzi: missione compiuta. Valle a vedere, quelle foto, caro lettore: ti renderai conto tu stesso di fare un salto indietro nel tempo e di guardare negli occhi i nostri Colleghi pieni dello stesso orgoglio e dello stesso onore di chi come Noi ogni giorno dice alla gente: siamo Poliziotti.
Per la Redazione Cadutipolizia: Gianmarco Calore