IL BOTTINO DEL VINCITORE
Benevento, 21 Marzo 1946
Immagina il primo giorno di primavera ed un poliziotto impegnato in servizio alla stazione. E’ la guardia di P.S. Felice Arcopinto, il quale, in quel bellissimo giorno di sole, sta svolgendo il noiosissimo servizio di fare scendere dai treni i passeggeri senza biglietto, da accompagnare poi in questura per l’identificazione. Può sembrarti (e lo è) una grandissima rottura di scatole, ma nel 1946 quello dei passeggeri abusivi è uno dei tanti problemi del Paese. Sulle linee ferroviarie che percorrono la Penisola si muovono migliaia di persone, per la maggior parte persone oneste e disperate alla ricerca di un posto di lavoro o di familiari dispersi, ma spesso sui treni vi sono i cosiddetti “magliari”, i piccoli traffichini che vanno da un capo all’altro d’Italia per vendere merce di dubbia provenienza, e altre volte ci sono delinquenti, magari addirittura criminali latitanti. Prova quindi ad immaginare centinaia di persone stipate nei posti più incredibili, dagli scompartimenti ai corridoi, dall’imperiale al gabinetto, in un’atmosfera satura dell’odore di centinaia di esseri umani ammassati l’uno sull’altro, del fumo delle pestilenziali sigarette di trinciato forte, del vapore delle locomotive ed immagina di che umore siano, quando costringi qualcuno di loro a scendere. Non è quindi un servizio entusiasmante quello svolto dalla guardia Felice Arcopinto, un ragazzo napoletano di 24 anni che considera il proprio lavoro un colpo di fortuna in quell’Italia disastrata del 1946, e che certo ringrazia Iddio di non essere stato spedito in Sicilia a combattere il bandito Giuliano ma che ora, infagottato nel pesante pastrano dell’uniforme che lo fa sudare come in una sauna, raduna gli abusivi sotto la pensilina della stazione di Benevento, in attesa che il maresciallo gli dia l’ordine di portarli nel piazzale e farli salire a bordo del camion diretto in la questura. Ora immagina il gruppo di soldati inglesi nella stazione. Non so dirti quanti siano né se siano di pattuglia oppure se più semplicemente attendano il treno che li porterà a Napoli, prima tappa del viaggio verso casa. Non so dirti nemmeno perché uno di loro ora afferri il proprio fucile Lee Enfield, inserisca il colpo in canna, punti l’arma su quel poliziotto italiano che gronda sudore nella sua pesante uniforme non adatta a quel giorno di primavera, e ora prema il grilletto del fucile.
Immagina gli occhi spalancati dallo stupore e dalla paura di Felice Arcopinto quando vede il fucile puntato su di sé, immagina la fiammata ed il fragore dello sparo e l’impatto quando il proiettile colpisce in pieno petto il giovane poliziotto, scaraventandolo sul pavimento della stazione.
Ora immagina un ragazzo che muore, in una bellissima giornata di sole, all’inizio della primavera.
Il 28 Dicembre 1946, sul periodico “il Candido” di Giovannino Guareschi, appare una vignetta sconvolgente che rappresenta due militari Alleati mentre, alla guida di una jeep, travolgono un gruppo di civili italiani. Le ruote dell’automezzo mutilano i corpi, ma i due soldati a bordo non se ne curano, anzi il passeggero sorridente incita il guidatore, “Forza John! Dobbiamo battere la RAF che ha al suo attivo i 200 scolaretti di Gorla!”.
Il 20 Ottobre 1944, nel quartiere milanese di Gorla una bomba dell’USAAF americana (non della RAF inglese) aveva colpito la scuola elementare “Francesco Crispi” uccidendo 184 bambini insieme alle loro 19 maestre (certo un bersaglio non voluto, un danno collaterale, ma che per la retorica fascista e neofascista fu un’autentica manna ed il simbolo della brutalità degli Alleati).
Un gesto atroce che è diventato un trauma collettivo per gli italiani, di qualsiasi ideologia. E anche Guareschi avverte questo trauma dentro di sé, quasi il simbolo dell’impotenza dell’Italia uscita malconcia dalle macerie della dittatura e della guerra. Un’ Italia umiliata e sconfitta, dove non vi è una sola famiglia senza un reduce, spesso ferito o traumatizzato, che non pianga un morto nel conflitto o che non attenda il ritorno di un familiare prigioniero o disperso. Una Patria sconvolta dai massacri della guerra civile, retta da un Re che ha perso il proprio prestigio e con una classe politica repubblicana che non è ancora riuscita a guadagnare il suo. Un Popolo sconfitto che aspetta il verdetto dei vincitori per conoscere il proprio destino, se rimarrà una Nazione indipendente o se si dissolverà come un sogno all’alba. Un’Italia provvisoria, come la chiama Guareschi, dove il vero potere non è nelle mani del suo governo ma in quelle degli eserciti occupanti. E’ in quei giorni che, su un muro di Roma, qualcuno lascia una scritta amara “ANNATEVENE TUTTI QUANTI. LASSATECE CHIAGNE DA SOLI!”
All’inizio ti ho raccontato della guardia Felice Arcopinto, assassinato senza un perché. Ma casi simili durante l’occupazione tra il 1943 ed il 1947 furono decine in tutta Italia.
Vuoi qualche altra storia? Il 3 Agosto 1945 la guardia Pierino Caneva sente una donna urlare in una abitazione di Roma. Interviene, ma si trova di fronte ad un militare Alleato ubriaco il quale, dopo avere picchiato a sangue la prostituta con cui si era appartato, ora sta cercando di stuprarla. L’agente Caneva cerca di impedire la violenza, ma il soldato, che non verrà mai identificato, lo uccide a colpi di pistola. Nell’agosto 1946 a Palermo, un ragazzino di 12 anni, colpevole di avere rubato per sfamarsi, venne ucciso a randellate da un marinaio americano. Io stesso posso raccontarti un episodio che accade nel luglio 1946 ad un mio parente, Angelo, un ragazzo di nemmeno vent’anni, il quale mentre si reca a lavorare in bicicletta commette il mostruoso crimine di puntellarsi per un istante con la mano al cassone di un camion dell’esercito inglese in sosta ad un incrocio. Uno dei soldati a bordo dell’autocarro afferra il fucile e punisce Angelo per il suo gesto, sparandogli a bruciapelo. Angelo muore dopo undici mesi di atroce agonia, nel giugno 1947. L’Italia è in pace da due anni ed è Repubblica da un anno, ma i suoi figli continuano a morire a causa della guerra, anche a causa di incidenti evitabili, dovuti alla guida spericolata ed al mancato rispetto delle norme stradali da parte di autisti militari alleati, sicuramente validissimi nel trasportare truppe o rifornimenti sul campo di battaglia, sotto al fuoco dell’artiglieria tedesca ma che sulle strade italiane del tempo di pace corrono come folli, travolgendo tutto quello che incontrano lungo il loro cammino. Uomini, donne, bambini. Civili e militari. Poliziotti… il nostro sito ne riporta almeno una dozzina morti così, travolti dai pesanti mezzi militari.
Nell’archivio di Stato di Udine, durante le mie ricerche, ho trovato alcuni rapporti dei Carabinieri riguardanti almeno una ventina di incidenti stradali avvenuti in Friuli e provocati da autisti militari alleati, americani, inglesi, indiani, australiani, neozelandesi, polacchi tra il 1945 ed il 1946. In almeno 6-7 occasioni ci scappa il morto, tra i quali un paio di bambini e un carabiniere. Vuoi sapere quante volte il soldato alla guida si ferma? Per quello che ricordo io, appena due. Due su venti.
Prova quindi a moltiplicare questi numeri per tutta l’Italia occupata … ne uscirebbe una cifra spaventosa.
Nel settembre 1946 il comandante delle forze armate alleate in Italia rende noto che dal momento dello sbarco in Sicilia nel 1943 e sino al 1946, gli automezzi militari alleati avevano provocato 25.000 incidenti stradali, ed invita quindi i suoi uomini alla prudenza, ma a quanto pare l’esortazione non porta a grandi risultati.
Luigi Follieri, è commissario di P.S. a Vicenza. Dopo l’8 Settembre mantiene fede al giuramento prestato al governo legittimo del Re e diventa il comandante degli agenti che, all’interno della Questura di Vicenza aderiscono alla Resistenza. Follieri per quasi un anno affronta una difficile lotta contro la RSI ed i nazisti, sino a che non viene arrestato da Mario Carità, un feroce torturatore al servizio dei tedeschi. Follieri viene rinchiuso in carcere, seviziato per mesi, ma non tradisce i suoi uomini e, quando arriva il giorno della Liberazione, viene nominato Questore di Vicenza, un riconoscimento al suo coraggio ma insieme un incarico difficilissimo. Le vendette del Dopo Liberazione sono spietate ed uno dei tanti compiti del Questore Follieri è quello di impedire che la rabbia dei partigiani degeneri in furia omicida e quindi, percorre senza sosta la provincia, con la macchina della Questura guidata da un altro poliziotto ex partigiano, l’agente ausiliario Walter Monticello, per parlare con i suoi ex compagni d’armi, per convincerli che la guerra è finita e che è giunta l’ora di ricostruire una Nazione, non di distruggerla definitivamente. Anche quel 14 Ottobre 1945 si sta dirigendo verso un paese della provincia. Il questore Follieri e la guardia Monticello si fermano davanti ad un passaggio a livello ferroviario e stanno attendendo che passi il treno quando un camion dell’esercito americano piomba a tutta velocità sulla loro auto, schiacciandola come una lattina. Luigi Follieri e Walter Monticello, sopravvissuti alla guerra civile ed alle torture, muoiono stritolati da un autocarro, sotto gli occhi attoniti del casellante.
Non ti basta? Cosa vuoi che ti racconti ora? Dell’ottobre 1944 a Castellammare di Stabia, quando un gruppo di soldati australiani ubriachi si impossessa di una locomotiva e la dirige a tutta velocità contro la stazione ammazzando sette soldati italiani e alleati? del settembre 1946, quando, nel quartiere milanese di Rogoredo un gruppo di soldati polacchi, con la complicità di alcuni prigionieri di guerra tedeschi (ma tu guarda a che strane collaborazioni porta il crimine…) si mette a rapinare i passanti? Beh…ti racconto come va a finire: arriva la Polizia Militare alleata, blocca i rapinatori, li redarguisce con decisione e poi… e poi li lascia andare via con il bottino. Vuoi che ti racconti dei ladri arrestati da agenti o dai carabinieri e liberati dai militari alleati ubriachi, i quali poi, non contenti, picchiano gli uomini delle Forze dell’Ordine italiane? Vuoi sapere dei disertori afroamericani che trasformano la pineta del Tombolo, nei pressi di Livorno, in una repubblica indipendente dove tutto è consentito, dal contrabbando di liquori e di tabacchi e alla prostituzione e dove alla Polizia italiana non è consentito di entrare? (poi, quando gli Alleati si ritirano nel 1947 lasciando senza protezione il Tombolo la Celere entra nella pineta e fa una robusta opera di pulizia, ma questa è un’altra storia)
No. Credo che basti, ma non voglio nemmeno lasciarti con l’impressione che tutti i soldati alleati fossero dei delinquenti. Non è assolutamente così. La maggior parte dei GI’s americani e dei Tommies britannici era composta da ragazzi coraggiosi che avevano affrontato l’inferno per liberare il nostro Paese tra il 1943 ed il 1945 e in decine di migliaia vi erano morti, molti dei quali in una disperata corsa contro il tempo verso il Confine Orientale, per impedire che le truppe jugoslave del maresciallo Tito dilagassero oltre Trieste. Erano stati quei ragazzi del Michigan e del Lancashire, con il loro valore ed il loro sangue, a salvare l’Italia dall’invasore tedesco ed a impedirle di diventare una repubblica popolare di stampo sovietico. Furono loro, con la loro presenza militare, a salvare Trieste, consentendole in seguito la riunificazione con la Patria. Furono loro a salvare l’Italia dalla fame, distribuendo spesso il cibo alla popolazione civile, prima della salvezza offerta dal piano Marshall.
Ma vi fu chi disonorò il loro sacrificio ed il loro coraggio: furono coloro che sulla carne ferita e ancora sanguinante di un Paese sconfitto e traumatizzato dalla disfatta non si comportarono da liberatori ma da padroni arroganti, umiliando un intero Popolo trattato come il bottino del vincitore.
Per la Redazione Cadutipolizia: Fabrizio Gregorutti