Tra cielo e terra (i bombardamenti aerei sulle città italiane)
Italia, Seconda Guerra Mondiale
Entrano nelle case in fiamme perché qualcuno, alle finestre dei piani superiori ha implorato il loro aiuto. Avanzano nei corridoi intasati dal fumo, con l’unica protezione di un fazzoletto bagnato, salgono scale pericolanti per le fiamme, fino a raggiungere le persone in pericolo, per poi uscire insieme a loro in strada, al sicuro. Ma non sempre c’è il lieto fine, ed a volte il fuoco provocato dalle bombe divora vittime e salvatori, a pochi passi dalla salvezza.
Lavorano tra le macerie e, guardando i loro movimenti secchi e meccanici per un attimo pensi a dei robot, ma non è così.
Sono esausti. Sopravvivono solo bevendo pessimo surrogato di caffè e fumando pestilenziali sigarette di trinciato di tabacco che permettono loro di lavorare ancora un po’. Scavano da ore, a volte da giorni. Non dormono da tanto di quel tempo che ormai hanno dimenticato che cosa vuol dire chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno, anche perché hanno il terrore degli spaventosi incubi che li attendono in agguato nell’oscurità.
Le loro mani sono coperte di tagli ed escoriazioni, perché quando non usano le pale ed i picconi scavano con le mani nude.
Il loro volto è diventato grigio a causa di un impasto di sudore e polvere, a volte la bocca è quasi sempre nascosta da un fazzoletto o da uno straccio che li protegge dalla polvere delle macerie, dal fumo degli incendi e dal tanfo spaventoso dei cadaveri in decomposizione sotto quello che rimane delle case e degli edifici distrutti dalle bombe.
I loro occhi sono vigili e attenti. Scrutano ogni centimetro dell’ informe massa di macerie ai loro piedi, pronti a cogliere ogni segno di una presenza umana sotto di loro. Accade che scoprano corpi o i loro brandelli. Altre volte, invece, sono fortunati e scorgono un movimento ai loro piedi che fa intuire l’ esistenza di qualcuno ancora in vita. Il loro udito è diventato sensibilissimo, tanto che riescono a sentire il più fievole lamento sotto tonnellate di macerie. Allora fermano il lavoro e, con un grido a metà tra il sollievo ed il trionfo gridano “Ehi! C’è qualcuno vivo qua sotto!”. Non sempre è vero…spesso la speranza li tradisce, facendo scambiare loro un qualsiasi rumore sotto di loro per la presenza di qualcuno ancora in vita. Altre volte sentono davvero i lamenti o scorgono dei movimenti e scavano a lungo per scoprire infine che la vittima è morta prima di essere raggiunta e allora lo shock è tale che crollano a piangere su quelle che un tempo erano case, scuole, uffici. A volte infine accade anche che, mentre stanno per raggiungere la vittima scatta l’allarme antiaereo e allora, mentre il rombo dei bombardieri si fa sempre più vicino, scavano freneticamente con gli attrezzi e le mani nude per estrarre il sepolto vivo dalle macerie, per strapparlo alla morte.
E allora, mentre le prime bombe iniziano a cadere sempre più vicine, lavorano ancora più disperatamente, urlando alla vittima “Io non ti lascio qui! Mi hai capito? IO NON TI LASCIO QUI!”.
Sono i combattenti del fronte interno. Sono vigili del fuoco, carabinieri, guardie di finanza, militi dell’antiaerea e poliziotti che dal 10 giugno 1940 al 25 aprile 1945 subiscono perdite terribili. Il Corpo degli Agenti di P.S. sino all’8 settembre 1943 addirittura perde più uomini sotto i bombardamenti che in combattimento nei Balcani contro la guerriglia jugoslava.
L’Italia precipita nella Seconda Guerra Mondiale grazie al pressappochismo, all’arroganza e alla stupidità della sua classe dirigente di allora, convinta di entrare in una guerra già vinta dalla Germania nazista e di poter riscuotere a poco prezzo importanti vantaggi. L’unico risultato saranno la disfatta militare, politica, economica e morale della Patria.
I bombardamenti sugli obiettivi civili non sono una novità. Nel corso dei primi mesi di guerra la Polonia è stata spietatamente attaccata dalla Luftwaffe. E’ fresco il ricordo del massacro di Guernica, la cittadina basca distrutta dagli aerei italiani e tedeschi durante la guerra civile spagnola. Gli aerei giapponesi hanno già bombardato spietatamente le città cinesi. Gli stessi italiani hanno già bombardato l’Etiopia. Ce ne sarebbe in abbondanza per approntare delle serie difese come una efficiente artiglieria contraerea, una efficace linea di protezione da parte dei caccia dell’Aeronautica e una valida protezione civile. La verità è che viene fatto poco o nulla per proteggere il Paese e il tutto viene lasciato alla buona volontà dei singoli che spesso non basta.
Già il 12 Giugno 1940 a poche ore dallo scoppio delle ostilità, gli aerei inglesi bombardano Torino e Genova, causando 17 morti e qualche danno di lieve entità, senza essere stati messi in serio pericolo dalla contraerea italiana che anzi, nei giorni successivi, in seguito ad un falso allarme antiaereo bombarda Torino causando numerose vittime.
Il 22 Giugno tocca a Trapani e Palermo, attaccate dagli aerei francesi provenienti dall’Algeria e dalla Tunisia, desiderosi di vendicare la loro Patria ferita dalla “pugnalata alle spalle” italiana.
E’ a Trapani che gli agenti di P.S. hanno la loro prima vittima. E’ il vicebrigadiere Gaspare Pellegrino. E’ riuscito ad uscire intero dalle macerie della Pretura distrutta dalle bombe francesi. E’ salvo, potrebbe andarsene al riparo, a cercare sua moglie ed i suoi figli, ma è un Poliziotto ed obbedisce al richiamo del Dovere ritornando indietro per aiutare i feriti che invocano soccorso. Ed è lì che lo sorprende la seconda incursione. Gaspare viene gravemente ferito nel suo generoso tentativo e muore dopo due settimane di agonia. Verrà decorato alla Memoria per il suo eroismo. E’ il primo degli oltre 1.100 poliziotti Caduti nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
La sera del 23 Ottobre 1942 il capoluogo ligure è sottoposto ad un’ incursione aerea inglese che causa pochi danni a causa del maltempo che impedisce ai bombardieri della RAF di colpire con precisione, ma la gente preferisce correre verso i rifugi portando con sé le proprie cose, gettate alla rinfusa all’interno di valigie o di sporte, o magari cerca una piccola comodità portando con sé una una sedia o addirittura un materasso. E’ così che spesso gli ingressi dei rifugi antiaerei si trasformano in veri e propri ingorghi umani, come accade quella sera all’ingresso della Galleria delle Grazie. Probabilmente all’origine della strage c’è la maledetta disorganizzazione alla base di tante, troppe tragedie italiane. Sembra che i cancelli del rifugio delle Grazie vengano aperti troppo tardi e che le forze dell’ordine che dovrebbero disciplinare l’afflusso siano praticamente assenti…ad eccezione di un maresciallo dei Reali Carabinieri fuori servizio, che si trova d’un tratto a gestire da solo l’entrata di centinaia di persone spaventate e costrette ad accedere al rifugio attraverso 112 gradini di una scala stretta, ripida e scivolosa. Ci sono tutti i presupposti per il massacro che sta per compiersi. La gente inizia a scendere, sempre più frettolosamente, terrorizzata dai bengala illuminanti lanciati dalla RAF…ed è a questo punto che qualcuno inciampa, forse su un gradino o su un materasso e cade sulle scale, trascinando altri nella caduta, finchè sul pianerottolo si crea un’ autentica barriera di carne umana che blocca l’ingresso della galleria. E’ il panico, il terrore puro, ormai non sono più uomini quelli che scendono verso il rifugio, ma una mandria impazzita dalla paura che preme contro il tappo umano in fondo alle scale ed a nulla valgono gli inviti alla calma da parte del maresciallo dei carabinieri intervenuto il quale viene letteralmente stritolato contro la parete dal torrente umano che sembra inarrestabile, poi…. nel recente e ben documentato “Bombardate l’Italia” di Marco Gioannini e Giulio Massobrio, un libro sconvolgente ma essenziale per comprendere la tragedia dei bombardamenti sul nostro Paese, c’ è l’atroce racconto di uno dei pochissimi superstiti delle Grazie, trasportato verso il basso dall’ondata umana, mentre lui, certo spaventato ma tra i pochi che non cede al panico, urla di non spingere, di calmarsi. Niente da fare, nessuno lo ascolta. Poi ad un certo punto l’ondata si arresta. L’uomo sta per soccombere, quando sente le urla della mandria impazzita trasformarsi in gemiti, poi più nulla e il silenzio cala sulla scalinata. L’uomo si guarda attorno e, con orrore ne scopre il motivo. Gli uomini, le donne ed i bambini accanto a lui sono ancora in piedi, accalcati uno sull’altro, ma sono morti, schiacciati dalla spaventosa pressione di migliaia di chili di carne umana. Il superstite deve la vita ad un miracolo, al soprabito che porta sottobraccio e che lo ha protetto creando una piccola nicchia che gli ha impedito di morire schiacciato. Quando alla fine verranno estratti dei suoi compagni di sventura, ben 354 cadaveri (ma questa è solo la cifra ufficiale) verranno allineati all’esterno della Galleria. I superstiti saranno appena una dozzina.
Quella sera la RAF definì “fallimentare” il bombardamento di Genova, poiché a causa del maltempo le bombe non avevano raggiunto gli obiettivi prefissati.
Un fallimento costato la vita a centinaia di innocenti.
Gli abitanti di Roma ne sono convinti: gli Alleati non bombarderanno mai la Città Eterna.
C’ è il Papa, è la Capitale della Cristianità, la culla della Civiltà occidentale…chi può volerla attaccare?
E invece accade: gli scali ferroviari di San Lorenzo e del Tiburtino sono strategici, essenziali per il trasporto di armi e truppe verso il Sud Italia e, soprattutto, una incursione aerea sulla Capitale, colpirebbe al cuore il morale dell’Italia, costringendola ad abbandonare il conflitto. Dopo molte discussioni tra inglesi (favorevoli all’attacco) ed americani (contrari) ed un primo lancio di volantini con il quale i romani vengono avvertiti che l’illusione è finita e che la città verrà attaccata nei giorni successivi, i bombardieri statunitensi attaccano Roma il 19 Luglio 1943. Gli equipaggi hanno ricevuto ordini molto precisi, “per quanto è possibile” evitare di colpire monumenti o chiese. Le disposizioni verranno rispettate: i danni al patrimonio storico e religioso saranno limitati, non così quelli alla popolazione civile. Le vittime saranno da 1600 ai 3000, tra i quali anche molti agenti di Polizia, uno dei quali è la guardia scelta Costantino Sbraga. E’ colto di sorpresa dall’incursione aerea su Roma. Dopo un primo istante di sbalordimento inizia a correre verso il più vicino rifugio antiaereo. Manca poco…manca pochissimo. Costantino guarda davanti a sé la porta del rifugio, dalla quale alcuni colleghi si sbracciano invitandolo ad affrettarsi. Costantino pensa a sua moglie, ai suoi figli…dove saranno in questo momento, saranno salvi, saranno ancora vivi? Mancano pochi metri al rifugio, ora ….Costantino sente il fischio della bomba mentre precipita verso di lui e i colleghi nel rifugio lo vedono scomparire nell’improvviso bagliore dell’esplosione….che cosa può rimanere di un uomo colpito dallo scoppio di una bomba da una tonnellata di esplosivo?
Anche l’agente Giuseppe Sabatino appartiene alla Questura di Roma. Il 19 Luglio 1943, quando la Capitale viene bombardata è però a casa, in provincia di Foggia, forse in licenza. Probabilmente decide di tornare a Roma ma prima che riesca a farlo viene sorpreso e gravemente ferito da una incursione aerea Alleata su Foggia. Muore dopo cinque giorni di agonia, mentre quella della sua città dura per i successivi due mesi.
Gli abitanti della città pugliese, come i romani, si sono crogiolati nell’illusione di venire risparmiati perché il sindaco di New York è originario della loro provincia. La realtà è che Foggia, oltre che un importante snodo ferroviario sulla direttrice adriatica, è circondata da una serie di aeroporti della Regia Aeronautica e della Luftwaffe ed è di conseguenza un importantissimo obiettivo strategico.
Il 22 Luglio Foggia viene colpita dal primo dei tre spaventosi bombardamenti aerei americani che nell’estate del 1943 la distruggeranno al 75%.
E’stato scritto che i morti furono 20.000 (alcuni autori parlano addirittura di 24.000) un terzo degli abitanti di allora, un numero che accosterebbe Foggia ad altre città martiri come Amburgo, Dresda, Londra e Varsavia…la cifra è probabilmente esagerata e forse dovuta al trauma subito dai superstiti di fronte all’apocalisse di cui fu vittima la loro città e che li portò ad amplificare l’orrore.
Quando cadono le prime bombe su Foggia in stazione si trovano due treni in attesa della partenza. Le centinaia di passeggeri cercano scampo nel sottopassaggio ferroviario…potrebbe essere la salvezza ma una delle bombe colpisce un convoglio di cisterne cariche di benzina, fermo su un binario vicino. Il carburante in fiamme si rovescia sulla banchina e scivola giù lungo i gradini del sottopassaggio, verso gli innocenti passeggeri dei due treni. Molti giorni dopo, quando il calore finalmente permette ai soccorritori di scendere nella galleria, di centinaia di esseri umani verrà trovato solo uno strato di cenere.
Il futuro scrittore Luciano Bianciardi, all’epoca allievo ufficiale a Foggia, racconta di quando insieme ai propri commilitoni, partecipò al recupero delle salme. E’ una pagina atroce, un pugno nello stomaco. A leggerla si provano le stesse sensazioni di nausea e di orrore del giovane Bianciardi, mentre descrive i corpi macellati dalle bombe e impastati con l’asfalto liquefatto, il recupero del corpo di un vecchio con sopra la mano di un bambino recisa al polso, la disperazione del padre che ha visto morire i suoi tre bambini e che implora i soldati di portarlo via con loro, sullo stesso carro dei morti. E alla fine Bianciardi, rifiuta di farsi il segno della croce “perché quella non era una morte consacrata, era uno scempio osceno del corpo e dell’anima dell’uomo” e, traumatizzato, si siede su una tomba.
Non sapremo mai quanti morirono a Foggia nell’estate del 1943, ma certo furono numerose migliaia. Come non sapremo mai con esattezza la cifra degli italiani che persero la vita durante i bombardamenti alleati e tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, alle quali vanno aggiunte anche le vittime dei bombardamenti sulle Terre Perdute, dove migliaia di civili furono uccisi a Zara, distrutta in una serie di incursioni aeree suggerite dagli jugoslavi ( i quali avevano falsamente fatto credere agli Alleati che la città dalmata fosse un importante obiettivo militare) e Spalato dove sono ignote le vittime della comunità italiana durante gli spietati bombardamenti tedeschi del settembre 1943. Gli studi più recenti ipotizzano che tra gli 80.000 ed i 100.000 italiani morirono sotto i bombardamenti ma gli stessi studiosi pensano che al già atroce numero debbano essere aggiunti coloro che negli anni successivi morirono per le ferite, i traumi e le mutilazioni subite.
In questa spaventosa cifra vanno compresi gli oltre 140 Poliziotti italiani (ma anche qui il numero esatto non si conoscerà mai) che caddero sotto le bombe tra il 10 Giugno 1940 ed il 25 Aprile 1945.
140 Poliziotti dei quali abbiamo voluto commemorare il sacrificio estremo, raccontando le storie di Gaspare, dello sconosciuto maresciallo genovese, di Costantino e di Giuseppe, di quattro Italiani travolti dalla guerra insieme ai loro connazionali ed alla loro Patria.
E’ accaduto ieri.
(Fabrizio Gregorutti)