Il senso del dovere
IL SENSO DEL DOVERE
di Gianmarco Calore
(La Guardia di Ps. Claudio Graziosi)
Roma.
E’ una giornata uggiosa, quella del 22 marzo 1977. Una pioggerellina tanto insistente quanto fastidiosa sta martirizzando la città e i suoi occupanti, rendendo il traffico ancora più caotico e la voglia di sbrigare in fretta le varie incombenze ancora più pressante.
Il clima di quel giorno rispecchia quello politico che sta investendo tutto il Paese: è iniziato quel burrascoso periodo che la storia ci consegnerà semplicemente come “il Settantasette”. Ma in questo caso, un simile acronimo non identifica un periodo di rivoluzione sociale che per molti aspetti era atteso e addirittura auspicabile, almeno nelle sue forme di adeguamento e modernizzazione, il “Sessantotto”. Mentre quest’ultimo lo possiamo identificare caleidoscopicamente in un arcobaleno di colori tra i quali vi fu sicuramente anche il nero, il “Settantasette” passerà alla storia con un significato dal colore tetro, dal sapore amaro e dall’odore acre dei lacrimogeni sparati quotidianamente e delle vetture date alle fiamme nelle piazze d’Italia. Passerà alla storia anche con il tanfo insopportabile di tante inutili morti.
L’Italia in questo triste periodo è sconquassata dall’aspetto più violento della rivoluzione sociale generata nove anni prima dai movimenti studenteschi. La rivoluzione di costumi è stata sostituita integralmente dalla rivoluzione social-militare guidata da pseudo intellettuali sia di destra che di sinistra, i quali manovrano schiere impazzite di giovani le cui menti sono ottenebrate dall’utopia di una società tanto diversa quanto impossibile da realizzarsi, oltre che da quantità sempre maggiori delle cosiddette “droghe sociali”: hashish, marijuana… I girotondi cittadini e le kermesse canore sono state sostituite da molotov, cortei armati, spranghe, la famigerata “Kurt 17”, la grossa chiave inglese brandita e usata non certo per serrare bulloni. Hanno fatto la loro quotidiana comparsa tra i manifestanti perfino armi da fuoco. E la gente per strada ha iniziato a morire.
Ci sono numerose e sinistre sigle che campeggiano sui muri e sui volantini di rivendicazione: Potere Operaio, Autonomia, Ordine Nuovo… Poi, le loro frange armate: i NAP contro i NAR, le BR contro tutti. Succede poi che il Partito Comunista Italiano, accortosi di avere perso il controllo su tanti giovani che avevano aderito alle fazioni più violente, “scaricò” oggi per domani tutti coloro che dietro una falce e un martello nascondevano la P38 e le molotov. Costoro, privi di un referente politico, si gettarono definitivamente tra le braccia di tanti “cattivi maestri” che furono ben lieti di subentrare anima e corpo nella gestione delle piazze.
In questo clima schizofrenico in cui lo Stato italiano iniziava una tardiva risposta in termine di repressione, la Polizia si trova quotidianamente in piazza a fronteggiare manifestazioni sempre più ingestibili, tornando spesso a casa con le ossa rotte. I reparti Celere di tutta Italia vengono impiegati senza soluzione di continuità in tutto il Paese in estenuanti aggregazioni che fiaccano ancor più il morale dei suoi appartenenti, tra i quali si sta facendo sempre più largo la parola “smilitarizzazione”.
E’ in questo contesto che a Roma quel 22 marzo 1977 troviamo uno dei tanti militari di Pubblica Sicurezza impegnato in ordine pubblico: è la guardia Claudio Graziosi del 4° Celere di Napoli. Il suo reparto ha appena dato il cambio al 2° di Padova in ausilio alla Polizia della Capitale. E’ un ragazzone di 21 anni, in Polizia da due. Quel giorno è stato impiegato in un servizio di OP che, grazie a Dio, non aveva creato problemi. Era rientrato alla Castro Pretorio e si era concesso la serata in giro per l’Urbe: un cinema, un panino da qualche parte, chissà…
Sta di fatto che la guardia Graziosi deve fare rientro in caserma entro la mezzanotte: diligentemente alle ore 23 lo troviamo seduto all’interno di uno di quegli autobus verdi con la guida a destra. E’ la linea 27 dell’ATAC. A bordo del mezzo c’è altra gente, altri romani che stanno tornando a casa. Il giovane Poliziotto sta pensando alla levataccia che lo aspetta tra poche ore per un altro estenuante servizio di OP, il suo pane quotidiano. Lo sguardo vaga sovrappensiero un po’ all’esterno del mezzo pubblico, attraverso un vetro punteggiato di pioggia che fa scorrere le vie della Capitale deformate e monotone, un po’ all’interno, posandosi distrattamente sui passeggeri: una donna con due grosse borse, un uomo che sta destreggiandosi tra scossoni e sterzate per sistemare il portafogli nel borsello a tracolla, due giovani morosetti persi nei loro sguardi, l’autista che sta smanettando sul cambio per ingranare una ruvida seconda che non ne vuole sapere di entrare… Varia umanità, ognuno con le proprie storie, ognuno con i suoi problemi. Il suo sguardo si sofferma ancora su quella donna con le borse: è di tre quarti rispetto a lui, anche lei persa nei suoi pensieri. Una chioma di capelli biondi esce da un cappellino di lana multicolore e si posa su un eskimo verde: la moda del momento. Ma lo sguardo distratto del Poliziotto si trasforma subito in qualcosa di diverso:
“Quella l’ho già vista” si ripete il militare.
La sua diligenza nel fare il proprio lavoro lo ha sempre portato a tenersi al corrente circa le vicende di cronaca di quella pazza Italia: una sorta di aggiornamento professionale non codificato che ogni giorno gli faceva sfogliare i principali quotidiani in cui memorizzava fatti e fotografie. Ed è proprio in una di quelle fotografie che aveva visto la donna. Una foto che la ritraeva di faccia, una foto segnaletica in un articolo in cui si parlava dell’evasione dal carcere di Pozzuoli di due pericolosi terroristi dell’ultrasinistra: come si chiamavano… ah, già: i Nuclei Armati Proletari. Una banda di schizzati che voleva imporre la rivolta armata contro tutto ciò che rappresentava lo Stato.
La continua a guardare proprio per esserne sicuro: “Ma sì, è proprio lei!”
Nell’era moderna sarebbe bastato il solito onnipresente cellulare, un veloce 113 e la richiesta di ausilio della cavalleria. Ma non siamo nell’era degli i-phone e di internet: siamo in quella delle cabine a gettone con gli elenchi telefonici consunti e che spesso nemmeno funzionavano. Che fare? Questa tra poco scende, non c’è tempo da perdere!
La guardia Graziosi si alza e raggiunge l’autista passando a fianco della donna e ricevendo ulteriore conferma ai suoi sospetti. La donna ricambia lo sguardo in modo distratto, uno dei tanti passeggeri che sta cercando di guadagnare l’uscita. Ma Graziosi supera il varco dell’uscita e si dirige dall’autista del mezzo:
“Buona sera, Pubblica Sicurezza”, si qualifica esibendo il tesserino.
L’autista, uno che da tanti anni sta macinando chilometri su quel bisonte verde, lo guarda senza troppa curiosità e ricambia il saluto.
Sottovoce il militare spiega la situazione e propende per l’unica scelta operativa possibile: lo invita a dirigersi verso il posto di Polizia più vicino: da viale Trastevere, lì a due passi c’è via Volpato e un distaccamento di Polizia Stradale. Un sudore malsano inizia a scendergli lungo la schiena: “Mannaggia a me, non ho nemmeno la pistola al seguito…” impreca mentalmente.
Come l’autobus devia dal suo percorso, i passeggeri a bordo iniziano a mormorare frasi di disappunto in un crescendo che presto si trasforma nella spiritosa caciara romana:
“Aho, a Nando!! Ma ‘ndo vai??”
“A bbello! Che, me porti a magnà a casa tua??”
“State buoni… state buoni….” implora tra sé il Poliziotto. Ancora poche centinaia di metri e tutto si risolve.
La donna con le due grosse borse è un animale che da troppi anni sta sfuggendo ai suoi predatori. Capisce subito la situazione e velocemente si sposta in direzione della porta di uscita. Ma anche Graziosi sa il fatto suo: capisce che la sua copertura è saltata e ormai non può più tirarsi indietro.
“Pubblica Sicurezza! Lei, con l’eskimo verde, si fermi dov’è!” intima gridando all’indirizzo della giovane. Nell’autobus cala un silenzio surreale: la gente è abituata alle quotidiane battaglie, capisce subito che la situazione si è fatta pesante.
Graziosi raggiunge la donna, la agguanta per una manica ponendosi alle sue spalle e la accompagna con fare deciso alla porta di uscita del mezzo: in lontananza si vedono già le luminarie del posto di Polizia.
“Missione compiuta!” sta pensando Claudio.
Il pensiero viene subito interrotto da un lancinante dolore alla schiena. E poi dal buio. Su quell’autobus c’è un altro animale in fuga: un uomo che nessuno, nemmeno il Poliziotto, aveva notato. E’ armato di una Browning calibro 9 che non esita a usare. Due colpi che pongono fine alla sua vita.
Sull’autobus si scatena l’inferno: l’autista blocca la marcia e spalanca le porte, la gente fugge a gambe levate e con lei pure i due animali braccati. Che da quel giorno lo saranno mille volte di più. Sull’umido pavimento dell’autobus della linea 27 rimane il corpo di un giovane sopra una macchia di sangue che si va espandendo sempre più: capelli neri corti all’uso militare, un giaccone in panno nero, in mano ancora un tesserino di cartone: un tesserino verde oliva con la foto austera di un ragazzino con una giacca, due stellette sul bavero e una scritta in giallo a fianco del logo della Repubblica Italiana: “Ministero dell’Interno – Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza”. Il nome: guardia di P.S. Claudio Graziosi.
Se oggi Claudio fosse ancora qui avrebbe 54 anni: se non in pensione, poco ci manca. Magari con i gradi di Ispettore o Sovrintendente Capo, probabilmente ripenserebbe a quella missione compiuta che gli avrebbe fatto guadagnare di sicuro un encomio solenne.
Poco importa che i due terroristi trovarono di lì a pochi mesi pane per i loro denti: l’uomo morto ammazzato nell’ennesimo conflitto a fuoco, la donna catturata e rinchiusa in galera.
Di Claudio oggi non rimane che una foto che non gli rende nemmeno troppa giustizia. Non una lapide, non un’intitolazione di qualche ufficio o commissariato. Rimane la memoria di un gesto eroico che gli avrebbe fatto dire: “Ho fatto solo il mio dovere”.
Bene, oggi quell’encomio solenne glie lo conferiamo noi!
Per la Redazione Cadutipolizia: Gianmarco Calore
Ringrazio la sezione ANPS di Napoli per la preziosissima collaborazione