Spari senza preavviso
L’altro giorno per la prima volta dopo tanti anni di servizio posso dire di avere visto la morte in faccia.
Aveva il volto tondo e nero del vivo di volata di una Beretta 92FS di un collega che, dopo un intervento rapina risoltosi in un falso allarme, mi ha inavvertitamente sventagliato in faccia il suo “ferro” con colpo in canna e cane armato.
Questo mi ha dato da pensare molto.
E per la prima volta ho riflettuto su quanti Colleghi, nel corso degli anni, sono morti per quello che viene sinteticamente definito “colpo accidentale di arma da fuoco”.
C’è da rimanere impressionati. Una strage.
Nella lista infinita delle cause di decesso abbinate a ciascun nome, una simile motivazione suona come un insulto alla loro memoria. Detto così, sembra che questi nostri Fratelli siano stati i parenti scomodi della Polizia, quelli che – poveretti – durante la pratica armi sonnecchiavano sui banchi di scuola o in un angolo ombreggiato del cortile della caserma… Viene da chiederti: “Ma vuoi sul serio che siano potuti morire così?” Tu, che sei abituato alla tua infallibile Beretta 92FS sicura-che-più-sicura-non-si-può; tu, che hai a che fare con istruttori di tiro preparatissimi; che vai a sparare ad ogni rientro settimanale; che sai tutto della posizione Weaver e del tiro rapido a braccia tese con sospensione; che sulla sagoma “francese” glieli piazzi tutti – ma proprio tutti – lì dove devono essere piazzati. Ma che in un intervento rapina non distingui un’arma carica da una scarica.
Poi ti cali nelle loro realtà, nel loro tempo. E capisci.
Il primo Caduto per una simile causa di cui abbiamo notizia si chiamava Francesco Lo Bianco. Era un trentatreenne vice brigadiere del Corpo delle Guardie di P.S. che aveva partecipato alla spedizione garibaldina dei Mille. Il 12 febbraio 1863 si sparò per sbaglio un colpo di moschetto al ventre. Un caro, vecchio archibugio ad avancarica che aveva usato centinaia di volte e che probabilmente in altrettante occasioni gli aveva salvato la vita.
Poi ci sono quelli cui il colpo accidentale glielo ha sparato un collega. Come poteva capitare l’altra mattina a me. E qui il dramma raddoppia in tutta la sua intensità. Due vite rovinate per sempre, in un senso e nell’altro.
Antonino Tuscano muore così dopo tre giorni di agonia, per essersi buscato una rivoltellata esplosa da un collega mentre inseguivano tre loschi individui il 16 giugno 1917. Passano più di cento anni, ma la dinamica è la stessa per il brigadiere Felice Cannavacciuolo: è il 22 gennaio 1978. Tra l’uno e l’altro decide di anni e decine di altri Colleghi morti allo stesso modo.
Tre nomi su tutti. Su tanti Colleghi caduti in oltre 150 anni di storia gloriosa del Corpo, spesso nel più assoluto anonimato.
Oggi, grazie a Dio, questi funesti incidenti sono diminuiti.
E non è una questione di tecnologia armaiola a fare la differenza: una volta c’era il M.A.B., che ha riempito cimiteri e ospedali di gente morta o ferita per sbaglio, nonchè officine di carrozzieri con “pantere” sforacchiate; c’era la Beretta mod. 34 che sparava da tutte le parti tranne dove e quando volevi tu; o la “51” che, se non ti esplodeva in faccia, era comunque un arnese da trattare con circospezione. Oggi abbiamo tutt’altri “ferri del mestiere” con sicure e controsicure, blocchi automatici al percussore, svincoli alle catene di scatto, oh yeah!…. Anche il mitra M12 è stato rivisitato nel senso di maggiore sicurezza. E’ aumentata a livello esponenziale la preparazione dei nostri Istruttori di Tiro che dispongono di tecniche che fanno lavorare l’Operatore nella maggior sicurezza possibile, anche in condizioni di elevato stress operativo. Almeno così credevo….
Morti diminuiti, dicevo.
Purtroppo, non scomparsi. L’ultimo Collega che abbiamo dovuto piangere per simili eventi è stato il Sovrintendente Antonio Lippiello, colpito alla schiena la notte del 7 gennaio 2000 da un colpo di pistola partito dall’arma di un collega durante un inseguimento di alcuni spacciatori di droga lungo la tangenziale di Mestre (VE).
E allora capisci che è solo il fattore umano quello che continua a fregarti. Tolta un’esigua percentuale costituita da chi l’incidente se lo è cercato e voluto per pura idiozia, superficialità, faciloneria o altro di simile, ho capito che non esiste corso o istruttore che ti insegnerà mai a controllare a fondo lo stress operativo o la semplice disattenzione. Perchè seduti comodamente intorno a un tavolo, magari con una birra fresca davanti, siamo tutti bravi a cantarcela su quanto in gamba siamo dietro ad un bancone di legno, con le nostre cuffie e occhiali e con davanti il nemico costituito da un pezzo di carta.
Poi un giorno come un altro vai in strada e all’improvviso ti trovi a doverti avvicinare ad una banca sotto un portico, facendoti scudo delle colonne di marmo, delle auto in sosta e – quando queste finiscono – della tua fede in Dio. Senti lontana la radio che ti conferma che non riescono a contattare nessuno dentro la banca, perchè il telefono suona, suona, suona. A vuoto…. Impugni la tua pistola, sei abituato a girare con il colpo in canna da sempre: ma in quel momento non ti ricordi se c’è o no e la mano sinistra vorrebbe andare al carrello otturatore per scarrellare, in barba a tutte le lezioni di tiro che hai fatto e alla consapevolezza che comunque il colpo camerato c’è… Percepisci i tuoi colleghi che ti fanno da copertura, uno piazzato in ginocchio dietro una macchina, l’altro a terra dietro a un cassonetto… La sala radio vuole notizie… La gente si è volatilizzata e tu, come in un tunnel, vedi solo l’ingresso della banca farsi sempre più vicino. Vanno in malora tutti i consigli che ti danno al corso circa il mantenimento della visione periferica, perchè il pericolo può essere dappertutto: dentro un’auto in sosta, dall’altro lato della strada, dentro un atrio di un portone che ti sei dimenticato di controllare….
E poi finalmente tutto finisce in un niente. L’ennesimo falso allarme abbinato all’idiozia di un direttore troppo preso dai suoi affari per poter rispondere ad un accidenti di telefono. Metti via l’arma, ti raggiungono i colleghi, l’aria inquinata della città ti sembra invece buonissima. Dopo la doverosa ca**iata al direttore misero e tapino, partono le prime battute di spirito.
E per poco non parte anche un 9 parabellum.
Tutto il castello di carte che ti sei costruito in tanti anni di strada crolla miseramente sotto il colpo di vento dell’imprevedibile, del fattore umano, dell’animale non razionale che c’è in ognuno di noi. Le scuse servono a poco; il calcio che vorresti tirargli dritto ai gioielli di famiglia, ancora meno.
L’altra mattina ho portato a casa la pelle. Ciò basta.
Ma tanti altri Colleghi no. Ed è bene che ognuno di noi, “pinguino” o “nonno” alla soglia della pensione che sia, non si dimentichi mai di chi non ha avuto la stessa fortuna. Per un suo errore. O per l’errore di un altro.